giovedì 25 febbraio 2010

Velocità del filtro

La relativa assenza di alghe, riscontrata in acquario nell'ultimo periodo, mi ha permesso di osservare una relazione diretta fra la pulizia della pompa e l'aumento di alghe (filamentose, staghorn e spot). Per pulizia della pompa non intendo la pulizia del filtro biologico ma della sola pompa e del filtrino meccanico della stessa che consiste in un quadrato da 1cm quadrato di spugna sintetica.

In generale (e semplificando di molto) le alghe sono favorite da un eccesso di ammoniaca (NH3) o ammonio (NH4) causata a sua volta da una scarsa nitrificazione rispetto ad un eccesso di sostanze organiche inquinanti. La nitrificazione è sfavorita da:
- temperatura bassa
- PH basso
- O2 scarso (caso di concorrenza con altri batteri non nitrificanti e consumatori di ossigeno)
- KH basso (cala il PH)
- flusso del filtro (velocità) non adeguato.


Considerando che alla pulizia del filtro di protezione della pompa corrisponde un aumento di velocità del flusso e che, tale aumento favorendo l'ossigenazione dovrebbe sfavorire le alghe è evidente che l'aumento di ossigenazione indotto non ha una entità tale da apportare benefici.

Si suppone che la pulizia della pompa non vada ad influenzare parametri del tipo temperatura, PH o KH anche se in realtà la variazione di ossigenazione e maggiore dispersione di CO2 dovute ad un aumento di velocità del flusso potrebbero influire nel PH. Quindi tutto sembra indicare che dopo la pulizia la velocità del flusso diventi eccessiva e non permetta ai batteri la nitrificazione di tutto l'NH presente. Questo combacia con l'osservazione che quando il flusso dell'acqua rallenta a causa dell'intasamento del filtro biologico l'aspetto generale della vasca è migliore e l'acqua è più limpida. Lo stesso effetto si ottiene pulendo a fondo l'acquario e quindi contribuendo manualmente alla diminuzione del carico organico.

Quindi il filtro intasato ha già un ossigenazione corretta e una velocità adeguata al processo di nitrificazione rispetto al carico organico presente. Sicuramente il filtro sta sempre lavorando al limite ed è sottodimensionato ma, essendo un filtro interno risulta difficile modificarne la capacità ...

lunedì 1 febbraio 2010

Aquascaping ed estetica

Dopo avere visto pubblicati gli ultimi risultati dell' AGA Contest mi ero ripromesso di fare alcune considerazioni in merito allo stato attuale dell' aquascaping. Tale proposito nasce dal sempre maggior numero di lavori, presentati ai contest, raffiguranti degli scorci che sono più assimilabili a paesaggi terrestri che acquatici, opere che secondo molti (compreso il sottoscritto) non andrebbero etichettate come acquari ma come lavori artistici di categoria separata.

Va premesso che considero la maggior parte di tali lavori come delle opere d'arte che, per me, sarebbe impossibile eguagliare. Quindi non ho alcun titolo a mettere in discussione la qualità tecnica ed estetica di tali opere, ma vorrei comunque fare il punto su come, secondo me , dovrebbe apparire un acquario. E' ovvio che trattandosi di un giudizio estetico personale possa trovare o meno accordo a seconda di quanto sia vicino il gusto estetico di chi leggerà queste note.

Fatte le suddette premesse trovo discutibile l'utilizzo del termine "acquari" per queste vasche in quanto la loro estetica si allontana notevolmente da quello che è il mio concetto di acquario ed in particolare di "Nature Aquarium" o come si usa dire da noi "Aquario naturale".
Sicuramente i miei concetti estetici sono influenzati dai primi lavori di Takashi Amano o, perlomeno, da quelli presentati nel primo libro della serie "Nature Aquarium World". Egli stesso in una intervista del '97 a proposito dei concetti alla base dei suoi lavori diceva "Observing Nature, Learning from Nature, & Applying what you learned,in creating Nature within the aquarium" ovvero: "Osservare la natura, imparare da essa, applicare ciò che avete imparato per creare la natura nell'acquario".

Leggere queste parole senza contestualizzarle è, comunque, fuorviante in quanto si potrebbe pensare all'"acquario biotopo" come acquario ideale. Non ritengo che sia così ne per quanto riguarda l'estetica ne per la qualità ambientale. Infatti alcuni biotopi sono sicuramente esteticamente poco validi e non è detto che, vivere una vasca di tale tipo, sia per i nostri pesci meglio che vivere in una vasca meno specializzata. Per quanto impegno si possa spendere nella realizzazione difficilmente il biotopo ricreato in vasca sarà fedele al 100% all' ambiente naturale che si desidera rappresentare, sia per il grande numero di variabili in gioco, sia per i limiti intrinseci del voler rappresentare un ecosistema aperto all'interno di un ambiente chiuso. La realizzazione di un acquario che simbolicamente rappresenta un ambiente naturale può essere, e spesso lo è, tecnicamente più semplice rispetto al ricreare un ambiente specifico e quindi ci sono maggiori probabilità di creare un ambiente salubre per piante e pesci.

Scartato il biotopo e andando ad analizzare meglio le affermazioni di Amano non si possono dimenticare le sue origini giapponesi e la sua cultura che sicuramente risente dei principi dello scintoismo e dello zen. Principi che sono presenti in tutte le arti visive giapponesi e dai quali sicuramente T. Amano è influenzato. Tali principi si riflettono anche in molte vasche cosiddette "Iwagumi" che secondo me hanno rappresentato il punto di passaggio fra lo stile "naturale" e quello stile che definirei, in mancanza di termini più adeguati, "landscaping" , ovvero di rappresentazioni di paesaggi terrestri negli acquari.
Ciò che forse a molti aquascaper è sfuggito è che per gli orientali lo stile Iwagumi è una rappresentazione simbolica della realtà non una sua fedele imitazione. Rappresentazione che fa un uso di proporzioni e spazi vuoti che sono, per quanto esteticamente validi, lontani da una rappresentazione naturale di un ambiente acquatico tanto quanto gli ordinati vialetti degli acquari "olandesi".

La natura possiede uno spontaneo (passatemi i termini) "ordine caotico": le piante in natura non sono separate da netti confini, ma mescolate fra di loro, cercando l'una di penetrare lo spazio dell'altra ma nello stesso tempo costrette al loro posto da leggi naturali di competizione reciproca (per la conquista di luce e altri nutrienti). Ne risulta un armonia difficile da imitare in un acquario forzato entro uno schema, ma possibile in un acquario accompagnato nella sua crescita. Questa mia ipotesi troverebbe conferma nel fatto che Amano affermava che le sue vasche non erano destinate a essere immediatamente dismesse ma, al contrario "They are designed for long term setup." (Sono progettate per allestimenti a lungo termine) e quindi, in un certo senso, destinate a progredire e evolvere.

Non si dovrebbe comunque pensare ad un'acquario spontaneo ed abbandonato a se stesso come un acquario ottimale (con abbandonato a se stesso si intende ovviamente dal punto di vista estetico non dal punto di vista della manutenzione la quale non è assolutamente in discussione andando altrimenti a scapito della salute dei nostri pesci). L'estetica zen, come ben espresso da Okakura Kakuzo ne "Lo zen e la cerimonia del tè" o anche da Alan Watts in "La via dello zen", e ben ricca di esempi in merito a arrangiamenti di giardini, opere d'arte, gestualità cerimoniali, apparentemente naturali e casuali. Apparentemente; ma in realtà tali in quanto frutto del disciplinato e ripetuto esercizio fino al raggiungimento dello stato di spontaneità. Termine quest'ultimo che viene assegnato sia appunto al risultato, sia al metodo e ai gesti impiegati per ottenerlo che il ripetuto esercizio deve far divenire la condizione naturale dell'operatore.

Lo stato di naturale spontaneità è proprio, a mio parere, il tocco mancante delle opere incriminate. Paesaggi estremamente curati, ordinatissimi, tecnicamente perfetti ma mancanti di quell'emozione che può regalare un acquario e, ancora di più, un acquario naturale. Tale stato di spontaneità è a volte reso con il termine giapponese wabi-sabi ma l'uso di tale termine è corretto solo se interpretato (ancora una volta) nel solo ambito estetico .

Vorrei tornare momentaneamente sull'argomento dell'acquario biotopo prima liquidato forse troppo in fretta. Ho accennato a difficoltà alla corretta e fedele riproduzione di un ambiente naturale per il grande numero di variabili in gioco. Molti sarebbero pronti a sostenere di avere pensato a tutto prelevando acqua e arredi dall'ambiente originario, avendo avuto cura di temporizzare e quantificare correttamente l'illuminazione e i flussi della corrente e chissà quant'altro. Va tutto bene ma a quanti è venuto in mente di tenere conto dei cicli stagionali o delle escursioni termiche giornaliere? Chi può dire di riuscire a riprodurre la corretta torbidità dell'acqua?

Un'altra considerazione poi è relativa al modo in cui presentiamo esteticamente i nostri plantaquari posizionando in primo piano le piante basse e sullo sfondo, quelle più alte con il terriccio del fondo dell'acquario che tende a scendere dallo sfondo al primo piano. Ciò è assolutamente necessario nei nostri acquari, in quanto in caso contrario le piante più alte nasconderebbero alla vista le più basse, ma contrasta con la posizione in natura in quanto solitamente le piante più alte si sviluppano nel acqua più profonda e viceversa. Ovviamente per questo specifico caso non c'è differenza fra una tipologia e l'altra di acquario ma ho ritenuto opportuno citare l'ennesimo esempio di quanto la ricostruzione di un ambiente sia limitata da vincoli tecnici e pratici.

Detto questo ribadisco che prima dell'estetica globale sia da valutare la verosimiglianza dell'acquario con un ambiente acquatico, ben vengano valutate la sua salute globale, l' estetica e la tecnica applicata ma mai ponendo l'ultima come primo requisito. Il rischio è di trovarci acquari perfetti dal punto della realizzazione, esteticamente validi ma destinati a durare il tempo di un concorso... troviamogli un nome ma non chiamiamoli acquari!